Operata per un tumore al seno, viene sottoposta a cicli di radioterapia e chemioterapia nella mammella sbagliata: il caso di Bari
Sta rimbalzando in tutti i giornali il caso della donna affetta da tumore al seno che, dopo aver subito un intervento di rimozione dell’organo, è stata sottoposta ad interventi di radioterapia e chemioterapia nella mammella sbagliata.
La vicenda, risalente al 2013, è stata riportata alla luce da Fanpage nella giornata di oggi. Un caso di “malpractice sanitaria” – così lo hanno definito i giudici della Corte dei Conti – che avrebbe, come spesso accade, una donna intenzionata ad asportare un cancro al seno come unica vittima.
Gli otto cicli di cura applicati alla mammella sbagliata, prescritti dall’Unità di Radioterapia dell’Istituto Tumori Giovanni Paolo II (Bari), hanno visto imputare al responsabile del reparto un risarcimento pari a 25.000 euro per la negligenza dimostrata in ambito lavorativo. Ma le cose, come evidenziato dai quotidiani locali, sono andate in tutt’altra direzione rispetto a quanto previsto inizialmente dalla Procura della Corte dei Conti.
Il caso verificatosi nel 2013 presso l’Istituto Tumori Giovanni Paolo II di Bari è stato etichettato come un caso di “malpractice sanitaria”. Una donna, dopo aver subito un intervento di mastectomia nella mammella destra, venne invitata a sottoporsi a dei cicli di radioterapia e chemioterapia per archiviare definitivamente il pericolo rappresentato dal tumore.
Gli otto cicli di terapia a cui la paziente si sottopose, tuttavia, vennero eseguiti nella parte sinistra del torace. A distanza di dieci anni dall’accaduto, a riportare a galla questo terribile caso di negligenza medica sono proprio le testate locali, che hanno anche ricostruito il decorso della vicenda in termini giudiziari.
La Procura della Corte dei Conti, nello specifico, avrebbe chiesto al responsabile del reparto di Radioterapia un risarcimento pari a 25.000 euro per la donna che, in tutta questa vicenda, ha subito un intervento medico non necessario sul suo corpo. La difesa, tuttavia, è riuscita ad ottenere un abbassamento del 50% del prezzo per l’accusato.
Un caso che, anche dopo parecchi anni, non manca di far riflettere rispetto allo stato in cui verserebbe il sistema sanitario nazionale. E, come spesso accade, a farne le spese sono i pazienti che, anziché ricevere cure adeguate, cadono vittime di tremendi episodi di negligenza medica.
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