Il caso del Canaro della Magliana è uno dei fatti di cronaca nera che sconvolse maggiormente l’Italia di fine anni ’80. La storia ha suscitato l’ispirazione per un celebre film
di Daniela Germanà
13 Dicembre 2022
Il film di Matteo Garrone uscito nelle sale cinematografiche nel 2018, “Dogman”, è liberamente ispirato a una storia vera, quella del Canaro della Magliana. Seppur ambientato in tempi e luoghi diversi, i riferimenti sono palesi. I reali fatti si svolsero a Roma il 18 febbraio 1988. Pietro De Negri, proprietario di un negozio di toelettatura per cani (per questo soprannominato canaro) uccise l’ex pugile dilettante Giancarlo Ricci. L’efferatezza del gesto fu sconvolgente. Le condizioni in cui venne rinvenuto il corpo di Ricci evidenziava il livore e il disprezzo del suo killer.
De Negri, descritto come un uomo cocainomane, pacato e gracile, aveva subito le vessazioni del pugile per anni. Con quest’ultimo compiva dei reati ma veniva sfruttato e picchiato. Una volta non gli era stata data la sua parte di refurtiva. Ricci, a quanto pare, era prepotente e violento: aveva rubato l’autoradio di De Negri e per ridargliela aveva preteso denaro. Ciò che ha fatto scattare l’intento omicida del toelettatore è avvenuto quando Ricci prese a calci il suo cane.
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Il 18 febbraio 1988 Pietro De Negri convinse Giancarlo Ricci a recarsi presso il suo negozio di toelettatura con la scusa di rapinare uno spacciatore. Per compiere il gesto aveva proposto a Ricci di nascondersi dentro una gabbia di uno dei cani e di cogliere di sorpresa la vittima. Con questo stratagemma lo impriginò. Lo aveva narcotizzato con i vapori della benzina e seguirono sette ore di torture terrificanti. Il corpo semi-carbonizzato di Ricci, infatti, venne ritrovato il giorno seguente in un sacco della spazzatura nella discarica abusiva di via Belluzzo, quartiere Magliana. Gli erano state tagliate le orecchie, le labbra e il naso. Fu evitato e i genitali messi nella sua bocca. Le dita, tagliate con delle tronchesi, erano state inserite all’interno dell’ano e negli occhi. Il cranio aveva una profonda spaccatura, lunga 10 centimetridalla quale era possibile scorgere materia cerebrale.
Pietro De Negri raccontò che aprì la scatola cranica per lavargli il cervello con lo shampoo per cani. In realtà, l’accanimento sembrerebbe essere avvenuto post mortem anche se il killer aveva asserito il contrario. Fu arrestato il 21 febbraio e confessò quasi immediatamente.
Sottoposto a perizia psichiatrica, venne ritenuto affetto da disturbo paranoide con incapacità d’intendere e di volere per la massiccia assunzione di cocaina. La condanna definitiva consistette in ventiquattro anni di reclusione. Ne scontò solo 16 per buona condotta e per la disponibilità verso i detenuti extracomunitari e malati di AIDS
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