Delitto di Cogne: la morte del piccolo Samuele Lorenzi sconvolse l’Italia intera. L’omicida venne individuata in Annamaria Franzoni, la madre. Qualcuno avanzò ipotesi differenti
di Daniela Germanà
21 Dicembre 2022
I casi di efferati omicidi sconvolgono e attirano sempre l’opinione pubblica. Quando si tratta di orrori perpretati su bambini, la sensazione di dolore e biasimo si acuisce ancora di più. La cronaca, purtroppo, ha riportato recentemente fatti in cui la mano violenta è quella di un genitore; madri e padri che diventano orchi, proprio loro che dovrebbero essere la prima fonte di protezione e sicurezza. Secondo il rapporto Eures sarebbero 473 i bambini i uccisi dai genitori tra il 2000 e il 2019.
Uno dei delitti che più di tutti ha tenuto banco nei media nostrani è quello che si è svolto in una villetta di Montroz, frazione di Cogne, in Valle d’Aosta quasi 21 anni fa, il 30 gennaio 2002. Il piccolo Samuele Lorenzi morì assassinato. Com’è noto, la colpevole venne identificata nella madre, Annamaria Franzoni.
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La mattina del 30 gennaio 2002 Annamaria Franzoni chiamò i soccorsi asserendo che il proprio figlio di soli 3 anni, Samuele Lorenzi, vomitava sangue nel proprio letto. Gli operatori sanitari intervenuti si accorsero immediatamente che il bambino era stato vittima di un atto violento. Furono quindi allertate le forze dell’ordine e scattarono le indagini.
Samuele fu dichiarato morto alle 9:55. Era stato colpito almeno diciassette volte da un corpo contundente, presumibilmente un oggetto casalingo in rame, forse un mestolo o un pentolino. Diciamo “presumibilmente” perché l’arma del delitto non è stata mai ritrovata. Le tracce di sangue sul pigiama della madre, le sue contraddizioni, le accuse false ai vicini di casa, la frase infelice detta al marito Stefano pochi minuti dopo l’arrivo dei soccorsi (“Ne facciamo un altro di figlio? Mi aiuti a farne un altro?”), l’assenza totale di tracce che facessero pensare che si fosse introdotto qualcun altro nella casa, indirizzarono verso Annamaria Franzoni. La donna fu condannata in primo grado a 30 anni di reclusione, ridotti a 16 anni in appello con conferma da parte della Cassazione, diminuiti poi a 11 grazie all’indulto. Dal 2018 è una donna definitivamente libera.
Un’ipotesi iniziale suggerì un’idea differente che avrebbe potuto scagionare la madre di Samuele Lorenzi. Proveniva dal medico di famiglia, la dottoressa Satragni. Allertata la mattina della morte del bambino, pensò che potesse essersi trattato di una causa naturale, ossia un aneurisma cerebrale (con conseguenti convulsioni, traumi da caduta e rianimazione troppo violenta) che avrebbe potuto provocare anche la ferita alla testa. I risultati dell’autopsia, però, smentirono questa supposizione.
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