Un tremendo delitto si compì in Via Veneto, cuore della Dolce vita a Roma, nel periodo del boom economico: l’omicidio della giovanissima Christa Wanninger. Il killer venne acciuffato ma mai punito: perché?
di Daniela Germanà
30 novembre 2022
L’Italia del periodo del boom economico rimase sconvolta alla notizia di un efferato omicidio che si compì il 2 maggio 1963, intorno alle ore 14:30, in un palazzo di via Emilia, adiacente alla più popolare Via Veneto a Roma, nota soprattutto per essere stata al centro del periodo della Dolce Vita.
La vittima era una giovanissima donna, aspirante attrice, di nome Christa Wanninger, di origine tedesca, nata a Monaco di Baviera. La ragazza è stata raggiunta da ben 23 pugnalate sul pianerottolo del quarto piano mentre si stava recando a trovare una sua amica, la connazionale Gerda Hodapp, ex ballerina. Le urla della Wanninger richiamarono l’attenzione della portinaia dello stabile che si imbatte in un uomo, alto, magro, vestito di blu, mentre scendeva le sclae con passo tranquillo.
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La prima sospettata dell’omicidio fu proprio Gerda Hodapp che abitava proprio al quarto piano dove ritrovata la sua amica. Aprì la porta di casa solo svariati minuti dopo, mezza addormentata, domandandosi le ragioni del trambusto. Disse di non aver sentito nulla. Anche il fidanzato della vittima, un ex calciatore toscano che qualche giorno prima aveva avuto una lite con Christa, fu trattenuto e interrogato. Tuttavia, risultò avesse un alibi nel momento in cui alla giovane tedesca veniva sottratta a vita.
Il mistero s’infittì ancora di più al ritrovamento di un’agenda appartenuta Christa Wanninger in cui erano riportati i nomi di oltre cento persone (quasi tutte di sesso maschile), ma risultarono estranee ai fatti. La più sospettata rimase Gerda Hodapp: accusata di favoreggiamento, venne detenuta a Rebibbia ma fu rilasciata poco dopo per insufficienza di prove.
Dieci mesi dopo l’assassinio, arrivò una telefonata a Maurizio Mengoni, un giornalista di Momento sera, un giornale romano. Un uomo sosteneva che il proprio fratello fosse l’autore dell’attrice tedesca ma, per fornire maggiorni informazioni, voleva in cambio cinque milioni di lire. Venne rintracciato poco dopo dai Carabinieri.
Si trattava di un certo Guido Pierri, pittore 32enne di Aversa. In seguito a un’ispezione nella sua dimora, gli inquirenti trovarono un manoscritto dove era descritto perfettamente un delitto identico a quello di Christa Wanninger, con particolari che non erano stati resi noti alla stampa. L’uomo si difese dicendo che stava scrivendo un giallo ispirandosi alla storia della donna tedesca. Disse poi che non c’entrava nulla con l’omicidio e che stava tentando di fare un po’ di soldi approfittando della notorietà del caso. Inoltre, possedeva un coltello, simile a quello usato per pugnalare Christa Wanninger. Che fosse proprio lui l’uomo in blu?
Nel 1976 una perizia psichiatrica decretò che Guido Pierri era affetto da un disturbo schizofrenico. Nel 1978 l’uomo fu assolto dalla Corte d’assise per insufficienza di prove ma la Corte d’assise d’appello, nel 1985, ribaltò la sentenza, ritenendolo colpevole di omicidio volontario (confermata nel 1988 dalla Corte di Cassazione).
Pierri non andò mai in carcere perché ritenuto totalmente incapace di intendere e di volere al momento del crimine, né andò in un ospedale psichiatrico giudiziario perché ormai sano e non socialmente pericoloso.
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