Rina Fort è passata alla storia come “la Belva di via San Gregorio”. Il 29 novembre 1946 trucidò quattro persone, una madre e i suoi tre bambini, spinta dall’impeto della gelosia. La sua ferocia è indimenticata dopo 76 anni dal delitto
La mattina del 30 novembre 1946 una donna di nome Pina Somaschini, commessa di un negozio di stoffe, si era recata presso la dimora del suo datore di lavoro, Giuseppe Ricciardi (originario di Catania), nella centralissima via San Gregorio a Milano, a pochi passi da corso Buenos Aires. Doveva fare una consegna. La porta di casa era socchiusa: fatto assai strano. La aprì pian piano, introducendosi nell’abitazione. Sicuramente non era preparata allo spettacolo che vide e che la segnò per il resto della sua esistenza.
Davanti ai suoi occhi vi erano quattro corpi senza vita, immediatamente identificabili. Appartenevano alla moglie di Ricciardi, Franca Pappalardo, 40 anni, e ai loro tre figlioletti: Giovannino di 7 anni, Giuseppina di 5 anni e Antoniuccio di soli dieci mesi. Le vittime erano riverse in una pozza di sangue. Sul luogo del delitto c’era materia cerebrale sparsa ovunque e tracce di vomito. Giuseppe Ricciardi si trovava a Prato per ragioni di lavoro. La commessa Pina Somaschini, sconvolta, chiamò immediatamente le forze dell’ordine.
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Non ci volle molto a capire che l’autrice del delitto fu Rina Fort. Ma chi era costei? Dobbiamo tornare un po’ indietro nel tempo per avere chiaro il contesto.
Rina Fort era una povera sventurata nata a Santa Lucia di Budoia (Friuli Venezia Giulia) il 28 giugno 1915. La sua vita è stata costellata da disgrazie. Suo padre morì di fronte ai suoi occhi a causa di un incidente mentre erano impegnati in un’escursione in montagna. Poco prima del matrimonio il suo fidanzato morì di tubercolosi e a soli 22 anni venne data in moglie a un altro uomo, suo compaesano, tale Giuseppe Benedet, affetto da gravi turbe mentali al punto di dover essere ricoverato in manicomio. Riuscì a ottenere la separazione e si trasferì a Milano da una sorella. Rina Fort, inoltre, era gravemente afflitta dalla scoperta di essere sterile e non poter concepire.
Venne assunta presso un negozio di tessuti in via Tenca di proprietà di Giuseppe Ricciardi. La loro intesa si trasformò presto in passione, iniziando una vera e propria relazione. Quello che Rina Fort non sapeva, però, è che Ricciardi aveva moglie e tre figli nella sua città d’origine.
La notizia della relazione extraconiugale giunse fino in Sicilia; per questo motivo la consorte di Ricciardi, Franca Pappalardo, prese con sè i figli e decise di raggiungere il marito a Milano. Poco dopo Rina Fort fu licenziata (sostituita da Pina Somaschini) e Franca Pappalardo rimase incinta per la quarta volta, aumentando il senso di abbandono e frustrazione dell’amante.
Il 29 novembre 1946, approfittando dell’assenza di Ricciardi che si trovava in Toscana per motivi di lavoro, Rina Fort si recò dalla sua “rivale” in amore. Franca Pappalardo la accolse a casa, le offrì da bere, cercò di trovare un punto d’incontro con lei. In un attimo di distrazione Rina Fort le fu addosso, prese una spranga di ferro che si trovava in casa e l’aggredì. Poi toccò ai tre figlioletti. Non li uccise immediatamente; mentre erano in agonia, la criminale infilò dei panni umidi nelle loro bocche per soffocarli.
La donna mise in scena una finta rapina, prelevando qualche oggetto. Ma la famiglia Ricciardi non era benestante, fu chiaro immediatamente che si trattava di un maldestro tentativo di depistare le indagini.
La donna si professò innocente per poi confessare tutto ma sostenendo di aver avuto un complice, un certo, Carmelo Zappulla, amico del Ricciardi (poi scarcerato).
Fu lei a essere tacciata come la “Belva di via San Gregorio”, condannata all’ergastolo. Il 12 settembre 1975 beneficiò della grazia dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone e condusse una vita ritirata vicino Firenze dove morì nel 1988 d’infarto. Giuseppe Ricciardi morì nel 1975; nel frattempo si era risposato e aveva avuto un altro figlio.
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